LA RICOSTRUZIONE DELLA CITTÀ DI REGGIO TRA SPERANZE E PROTESTE: LO STRADONE E LA FABBRICA DELLA CATTEDRALE

A Reggio Calabria il flagello dei terremoti diventa l’occasione per ricostruire la città di sana pianta sulla base di un piano urbanistico del tutto nuovo e più razionale che consentirà anche di applicare le innovative tecniche antisismiche ideate da Francesco La Vega, ingegnere militare del Genio e archeologo. Per questo il nuovo piano urbanistico elaborato dall’ingegnere napoletano Giovan Battista Mori prevede la demolizione di buona parte degli edifici pubblici e privati che si trovano dentro la cinta muraria, inclusi quelli perfettamente agibili molti dei quali appartengono alle famiglie reggine più in vista. Il piano Mori prevede, fra l’altro, che l’intero centro urbano dovrà essere attraversato da uno «Stradone», destinato a diventare l’arteria principale e sulla quale dovrà affacciarsi anche la Cattedrale. Questa soluzione, per ovvie ragioni, scontenta, e non poco, i massimi esponenti della nobiltà e della borghesia cittadina che, nel tentativo di evitare la demolizione delle loro abitazioni, contestano il Piano Mori.  Intanto, in attesa della ricostruzione, a Reggio Calabria la popolazione, costretta a vivere in una città in cui i cantieri procedono fra cumuli di macerie, subisce gli effetti di una gravissima crisi economica, sociale e morale:

«La città di Reggio […] per giusto divino giudizio si trova presentemente ridotta all’estrema desolazione, destrutte in moltissime le sue antichissime mura, demolite le porte, parte diriccati, e parte adeguati al suolo gl’edifizi per l’apertura del nuovo stradone […] dovettero ancora demolirsi gl’edifizi pubblici, il monte della Pietà, e la Casa della Città, e quelle poche case che restarono in piedi […]. Nella Chiesa Madre nel Santo tempio di Dio nacquero dell’ortiche, e dell’erbe selvagge, e per ogni dove non si vedono che mucchi di pietre ed edifizi destrutti, che muovono le lagrime a’ cittadini, e fann’orrore a’forastieri […] I cittadini poi che parte sono dispersi in vari luoghi, e parte situati all’intorno della distrutta Città in baracche […] sono ridotti la maggior parte all’estrema miseria […]. La gente bassa parte si diede a cercar l’elemosina e parte q’ furti. La Gioventù marcisce nell’ozio e s’immerge nel pelago dell’ignoranza […]».

In situazioni tanto disperato, in cui le principali attività economiche – dalla produzione di olio e di essenze a quella della seta – sono entrate in crisi, i reggini chiedono di essere esentati dal pagamento delle tasse e, soprattutto, chiedono concessione simili a quelle già fatte alla ben più ricca città di Messina, per incoraggiare la ripresa economica: 

«la città di Messina che patì maggior danno nelle fabriche di questa di Reggio, ma è incomparabilmente più ricca, città di negozio, tiene del denaro pubblico per le necessità, e tra i suoi cittadini conta persone d’alto rango, e ricchissimi, non intraprese una nuova edificazione, ma ognuno si va accomodando la propria casa, eppure, e la Maestà del Nostro Regnante con tutto ciò l’aiutò molto con molto averle accordato porto franco, e altre grazie: come dunque senza simili soccorsi può sorgere la città di Reggio, e formare nelle maggiori calamità una città di nuova pianta?»

Una domanda tutt’altro che retorica che esprime in modo molto efficace lo sconforto dei reggini. Questo documento conservato presso l’ASDRB è davvero molto importante perché in esso emerge chiaramente il fatto che Messina è una città molto più ricca di Reggio Calabria. Non è quindi per nulla casuale il fatto che dallo studio delle numerose ricevute di pagamento relative alla “fabbrica della Cattedrale” emerga che la maggior parte delle maestranze specializzate necessarie per la riedificazione della Cattedrale di Reggio provengano proprio da Messina: messinese, per esempio, è l’argentiere Cesare Moscato che si occupa di restaurare la cornice del quadro grande di Nostra Signora Assunta. Da Messina proviene anche l’aquila che dovrà adornare la cupola della Cattedrale, le vetrate della Cattedrale ma anche la biacca, la colla, il gesso, i chiodi e moltialtre materie prime. L’ASDRC, inoltre, conserva anche molti dei libri paga dei «travagliatori» impiegati nella fabbrica della Cattedrale. Si tratta di documenti affascinanti che fanno riemergere dal passato nomi di persone comuni come quello del capo mastro che si chiama Antonino Calabrò o quello dei mastri Simone Prillotta e Carmine Chiarello o quello dei manovali Antonio Putortì, Antonio Marra, Francesco Polimeno, Lorenzo Parisi, tutti uomini di cui, senza questi documenti, non sarebbe rimasta nessuna traccia, neppure il nome. Così come nessuna traccia sarebbe rimasta dei 26 forzati reclusi nelle carceri e anch’essi impiegati nei lavori di riedificazione della Cattedrale. 

Sorta per la devozione dei reggini convertitisi al cristianesimo in seguito alla predicazione di San Paolo, che consacrò come primo vescovo della città Stefano di Nicea, la cattedrale, prima del terremoto aveva un frontespizio in pietra dolce al centro del quale era collocata una statua di Nostra Signora Assunta in cielo. In cima al timpano, inoltre, campeggiava una croce in pietra tra la statua di San Paolo e quella di Stefano di Nicea. Il tetto era a volte decorate con ventiquattro dipinti a olio ed era sormontato da una cupola. 

Dopo i «tremuoti» della Cattedrale è rimasto in piedi solo il campanile e la cappella del Santo Sacramento. Contro il volere della popolazione si decide di abbattere il campanile e si progetta una pianta realizzata con un angolo di 35° rispetto allo «stradone» in modo tale da formare una struttura triangolare. Davanti al Cattedrale è prevista una grande piazza, un «piano», su cui dovrebbe ergersi una statua del Re posta su un piedistallo. A fare da corona alla piazza, oltre alle «isole di particolari» e alla «Real Chiesa Cattedrale», anche il «Real Seminario ed Episcopio», il «Palazzo del Baron di Palizzi» e il palazzo del «Baron Tripepi». Un gruppo di patrizi reggini il 28 gennaio 1796 invia la pianta del «piano» antistante la Cattedrale al Re perché la approvi.  Sempre nel 1796, il 7 agosto, il decano Fabrizio Plutino si fa portavoce della richiesta avanzata «per lo rialzamento della Campana grande, stante tutta questa popolazione la vuole per esser di già prossima la solennità della Vergine Santissima della Consolazione». Il risollevamento della campana grande della Cattedrale, in vista delle annuali feste settembrine in onore della Protettrice della città, assume in questo contesto un forte valore simbolico in quanto emblema del desiderio di rinascita dei reggini.

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